"Il male oscuro" di Mario Monnicelli (1990)
Riassunto e commento.
Tratto dall'omonimo romanzo di Berto (1964), la storia narra le sofferenze di Giuseppe Marchi, sceneggiatore e scrittore velleitario ed incapace di concretizzare la sua vena ispiratrice e creatrice.
Il film si apre con Giuseppe intento a raccontare un sogno al suo psicoanalista, che nel film verrà ritratto come persona autoritaria, distratta e superficiale. Questo è già l'epilogo della storia di Giuseppe,
una storia che ha le fondamenta nel suo male oscuro, che lo attanaglia nella convinzione di essere ammalato.
Sangue nelle urine, ulcera perforante, attacchi di panico si susseguono nello scenario mentale di Giuseppe, eppure tutti gli esami medici
non confermano questo quadro clinico. Il tutto sembra scatenarsi al momento della morte del padre avvenuta per via di una operazione non
riuscita. Non sarà un caso che più tardi Giuseppe andrà "sotto i ferri" per una sospetta ulcera perforante,
rivelatasi poi non essere presente. Dunque dalla morte del padre, persona anaffettiva e burbera che ha però fatto immensi sacrifici
per permettere all'unico figlio maschio, Giuseppe, di studiare, si dipana la sofferenza dello sceneggiatore, che partendo da una sintomatologia
ipocondriaca, via via che il film scorre, si aggrava sempre più, coinvolgendo Giuseppe in allucinazioni drammatiche di un mondo che
si sgretola. Ed ogni volta che Giuseppe tenta di scrivere il suo primo romanzo, quello sul quale fantastica la sua rivincita nei confronti
degli altri intellettuali e scrittori famosi, lo scrittore viene ingoiato dal suo male oscuro.
Quando tenta di dare forma al primo capitolo, che a mio avviso rappresenta proprio quel capitolo verso la crescita, il divenir "adulti",
dunque una individuazione e separazione dalla figura paterna, il male oscuro fa la sua comparsa sulla scena e la fa da protagonista.
Giuseppe sembra attanagliato dai sensi di colpa, per quegli antichi sacrifici del padre, che pesano come macigni e dai quali non riesce a
rendersi indipendente. Giuseppe si sposerà con una donna ricca e capricciosa, molto più giovane di lui e con la quale
avrà una bambina. Disturbato è anche il rapporto che Giuseppe intesse con la propria figlia Augusta, a tratti marcatamente
affettuoso e coinvolgente a tratti terribilmente distaccato e anaffetivo: rapporto che poi si risolverà in una separazione totale.
Infatti è nel momento di break-down, caratterizzato da allucinazioni visive, che la moglie spinge Giuseppe a farsi curare dal
miglior psicoanalista della città. Lo psicoanalista, come sopra accennato, ricalca lo stereotipo del professionista distaccato,
intento nel sistemare i propri accendini, mentre i pazienti narrano lui i propri dolori, poco empatico; in un'occasione, uscendo addirittura
dallo studio per parlare con la segretaria, mentre una paziente è intenta a raccontare i propri drammi.
Eppure questo percorso aiuta Giuseppe a capire i legami tra il proprio male oscuro ed il suo rapporto con il padre.
La sintomatologia invalidante ed invasiva di Giuseppe sparisce, per lasciare il posto ad un isolamento totale ed una separazione dalla moglie
e dalla figlia, altrettanto invalidante. Lo scrittore infatti si ritirerà in una piccola baracca in Calabria, ritornando alla vita rurale,
alla coltivazione dei campi, vita dalla quale era provenuto.
Una sorta di viaggio a ritroso e di regressione in uno spazio protetto: Giuseppe si isolerà nella vita di campagna e non scriverà
mai il primo capitolo del suo romanzo. Il male oscuro rimarrà il pentagramma della sua vita.